8 MARZO: FESTA DELLA DONNA. Una dicitura onnipresente – spesso proprio così, tutta in maiuscolo – nei calendari di tutti i social media manager del mondo, oltre che nei piani marketing di moltissime aziende. Ma prima ancora, una giornata importante a livello internazionale, che dovrebbe sancire l’importanza dei progressi e dei diritti acquisiti da quello che ancora gran parte del mondo, credendo di mostrare galanteria, si ostina a chiamare “il gentil sesso”. Eppure la ricorrenza ha finito per incarnare, con il tempo, l’opposto quasi esatto di ciò che voleva inizialmente celebrare, diventando un gigantesco evento di merchandising. Il che, per un’ironia neanche del tutto casuale, è uno specchio abbastanza fedele del reale stato di avanzamento del ruolo della donna in quasi ogni ambito della società, in particolare quello della comunicazione.

Si potrebbe obiettare, da questo incipit, che la situazione non è poi così drammatica. Che la donna è oggi lontana dagli stereotipi mercificanti della golden age dell’adv. Che non sono mancate negli ultimi anni – e che non mancano nel presente – campagne di successo in cui si sancisce una rivincita femminile sulla società, con relativa messa alla berlina dei maschietti. Il pensiero corre subito a case history come “Like a Girl” della Always (marchio del gruppo Procter & Gamble), che ribalta la locuzione dispregiativa del titolo (in Italia l’equivalente sarebbe “come una femminuccia”) da espressione di debolezza a allegoria di forza e tenacia. Oppure a certa comunicazione cosmetico-sanitaria in cui, soprattutto sul web (la tv rimane sempre anacronisticamente cauta), si cerca di sdoganare realtà fisiologiche tabù come il ciclo mestruale o l’imperfezione fisica in modi originali e provocatori. Eppure. Eppure. Eppure.

È vero: forse abbiamo scavalcato i picchi di imbarazzo di certa ironia becera degli anni 80 e 90, accompagnata da doppi sensi da scuola media e jingle demenziali. E abbiamo preso lunghissime distanze da alcune rappresentazioni mortificanti della donna-bambola (di casa) degli anni 50 e 60, casalinga impeccabile o lunatica intrattabile, costantemente attratta da una virilità ostentata e smargiassa (“Soffiale il fumo in faccia e ti seguirà dappertutto”, recitava una vecchia pubblicità a stampa delle sigarette Tipalet). Ma ad oggi, la dignità della donna nella comunicazione ci sembra tutt’altro che recuperata.

Il problema non è solo l’oggettivazione sessuale, che in molti ancora ritengono parte del gioco (sebbene in pubblicità questa pratica abbia mostrato sempre scarso respiro sul lungo periodo). La verità è che la maggior parte della comunicazione per le donne è fatta da uomini. E quando è fatta da donne, spesso sono donne che hanno imparato il mestiere – e il necessario cinismo per affrontarlo – da uomini. E quando sono donne con capi donne, quasi sempre devono interfacciarsi con interlocutori uomini (clienti, fornitori, colleghi, amici, responsabili di acquisto) i quali, nonostante la comprensione e il rispetto che possano avere, le porteranno inevitabilmente a fare qualcosa di più mite, ironico, inoffensivo. Diremmo, di più “rispettoso delle regole del gioco”.

E allora qual è il vero augurio che possiamo fare alle donne, in questa giornata, almeno per l’ambito che ci compete di più, ovvero quello della comunicazione?

Di andare sempre avanti, senza compromessi.

Alle ragazze che guardano gli spot in tv o in radio, i video virali sul web o le pubblicità sui giornali, auguriamo di tenere sempre allenato lo spirito critico, analizzando tutto ciò che vedono; di capire se dietro una risata strappata si nasconde un messaggio più profondo oppure uno status quo immutabile; di manifestare la propria indignazione; di cercare il dialogo con amici e parenti sui temi delle campagne più controverse; e, perché no, di offrire il proprio punto di vista, se e quando serve.

Alle colleghe pubblicitarie, auguriamo di non accontentarsi mai di approcci edulcorati, dove la provocazione sia sempre resa “accettabile” nella veste di satira sociale; di non temere mai di dover dire una verità (fosse anche solo la propria) riguardo a qualsiasi argomento le riguardi da vicino; di poter avere sempre una reale voce in capitolo nel processo creativo di qualunque campagna; e, soprattutto, di trovare in ogni loro collega uomo un confronto costruttivo, stimolante e rispettoso.

Qualcuno, insomma, che non si diverta a soffiare loro il fumo in faccia credendo di fare colpo.