Il suo funzionamento è abbastanza semplice: al suo interno ci sono delle “stanze” in cui un gruppo di persone, per lo più (si spera) con cognizione di causa, intavolano delle nutrite discussioni su alcuni argomenti specifici. Si tratta di Clubhouse, il nuovo social network che sta impazzando nelle ultime settimane. Un concept che definiremmo del tutto esclusivo. E non solo nell’accezione più fighetta del termine, ma in senso letterale. Perché la creazione di Paul Davison e Rohan Seth è stata concepita escludendo volutamente il bacino di utenza più ampio, ovvero quello del mondo Android. Clubhouse infatti è un’app che, attualmente, funziona solo su iPhone. Non solo. L’accesso non è libero: vi si può entrare solo su invito. Poi c’è l’esclusione simbolica della componente video, dato che tutti gli interventi avvengono soltanto via audio. E ancora, per creare un account al suo interno, si può sfruttare il proprio profilo Twitter o Instagram, ma non quello di Facebook.
Una scelta volutamente elitaria, quindi. Diremmo addirittura snob. Ma lasciamo per un attimo da parte le barriere all’entrata, che allontanano Clubhouse dalla dimensione più democratica di molti altri social. Cosa succede quando si è finalmente dentro? Si può scegliere tra un ampio ventaglio di “room” che affrontano i temi più disparati, soprattutto di ambito mediatico o professionale. Ed è qui che sta la vera forza di questo luogo virtuale. A trainarne la forza, fin dall’inizio, sono stati influencer, guru del marketing, personalità del mondo dello spettacolo e della cultura, che hanno fatto da veri e propri catalizzatori. Ogni stanza, nel suo piccolo, racchiude i componenti di una ideale “setta dei poeti estinti” (chi non ha mai visto o non ricorda L’attimo fuggente è pregato di interrompere la lettura fino al suo recupero: sappiamo essere esclusivi anche noi, che credete?). E i membri di ogni mini-gruppo si sentono parte di una realtà speciale, quasi segreta, altamente premium, produttrice di riflessioni altissime e di contenuti verbali di qualità.
Qui nasce una domanda d’obbligo: è davvero così? E altrettanto d’obbligo è la risposta: ha davvero importanza? Al momento in cui scriviamo, l’app ha superato gli 8 milioni di utenti nel mondo e ha ricevuto una valutazione che va oltre 1 miliardo di dollari. Numeri importanti, per un social che dovrebbe far storcere il naso per la sua puzza sotto il naso. Ma parlando di odori, probabilmente gli investitori hanno fiutato un vero affare in questo social dal nome quasi banale. E prima o poi vorranno vedere un adeguato ritorno economico.
Al momento è ancora difficile capire se e come Clubhouse possa diventare uno strumento interessante a livello pubblicitario. Ad ogni modo la nostra idea è che, anche in vista di un possibile sviluppo in tal senso, la sua presunta “esclusività” abbia i mesi contati. Una volta che la sua diffusione sarà resa capillare, e solo allora, capiremo se si tratta davvero del mezzo innovativo che vorrebbe essere o soltanto di una riuscita campagna di lancio capace di creare rumore e interesse.
Perché si sa, spesso la comunicazione è anche questo. Speriamo però che non sia solo questo. Sarebbe abbastanza fastidioso. Un po’ come ascoltare dei lunghissimi file audio invece di conversare dal vivo.
Ops…